Sua Beatitudine Pierbattista Pizzaballa, Patriarca latino di Gerusalemme, ha dichiarato: «Siamo afflitti, ma sempre gioiosi; poveri, ma arricchiamo molti; non possediamo nulla, ma possediamo tutto» (2 Cor 6,10). Al ritorno da Gaza con il Patriarca Teofilo III, ha raccontato un’esperienza di dolore e speranza: «Siamo entrati in un luogo devastato, tra rovine e tende, ma abbiamo trovato dignità e umanità». Ha lodato madri, infermiere e persone di ogni fede che, nonostante tutto, continuano a curare, nutrire e pregare. «Cristo non è assente da Gaza», ha affermato, «è lì, crocifisso nei feriti, presente in ogni gesto di misericordia». Il Cardinale ha denunciato la disumanità del rifiuto degli aiuti umanitari e ha invocato il rispetto del diritto internazionale e la fine della guerra. Citando Papa Leone XIV, ha ribadito: «Proteggere i civili è obbligo morale». La dichiarazione si conclude con l’impegno della Chiesa per una pace autentica e riconciliante, che non dimentica le ferite ma le trasforma in saggezza: «Non trasformiamo la pace in uno slogan, mentre la guerra rimane il pane quotidiano dei poveri».

Nel romanzo “Cuore nero” (Rizzoli, 2024), Silvia Avallone racconta l’incontro tra due esistenze spezzate: Emilia, appena uscita di prigione dopo aver scontato una lunga pena per omicidio, e Bruno, un maestro elementare segnato da un trauma infantile. Entrambi attendono di scoprire il perdono per sé stessi, in un lento cammino di accettazione e redenzione. L’incontro tra i due diventa il cuore pulsante del romanzo: un dialogo interiore e reciproco che rivela l’umanità profonda dei protagonisti e apre alla possibilità di una rinascita. Al centro, una potente riflessione sul male, la colpa, e il mistero del perdono, come dimostra la citazione chiave: «Eravamo due esseri umani. Quello che lei aveva compiuto, avrei potuto compierlo io… Allora cos’era, il male? Il non saper perdonare» (p. 335). Non ci sono facili morali, ma un cammino esistenziale che sfida lo sguardo comune e invita ad accogliere la profondità della persona oltre le sue ferite.

Di fronte a quello che sta avvenendo in questi mesi in Medio Oriente vien da chiedersi se abbia senso sperare ancora. Di fronte a tutto questo due ministri di Dio, un Cardinale Cattolico e un Patriarca Ortodosso con centinaia di tonnellate di aiuti umanitari sono entrati a Gaza il giorno dopo l’attacco israeliano alla Parrocchia cattolica della Sacra Famiglia. Il Papa ha chiamato il Cardinale Pizzaballa per esprimere il suo dolore. Pizzaballa ha dichiarato: “Noi rimaniamo. Qualsiasi cosa accada”. E ancora: “La fame. Ce n’è tanta. Mancano gli ospedali. C’è anche poca acqua. Questo stillicidio continuo non è umanamente e moralmente più sostenibile”. Alla domanda “È ottimista?”, risponde: “Dovrei esserlo. Sono un uomo di fede. Ho la speranza”. L’ottimismo è un’opzione. La speranza una certezza. Dante la definiva “uno attendere certo”. È questa speranza che impedisce di abbandonare le rovine, che sostiene padri, vedove, orfani. Pizzaballa, già nel 2014, parlava del potere più grande: la speranza. “Il male esiste, ma è impotente di fronte al cuore infranto ed integro. Di fronte ad uno sguardo redento, il male non può nulla”. Un cuore che attende, assetato, che può riaccendersi in un incontro, un cielo, un abbraccio. Ha senso sperare, perché questa attesa ci costituisce. La Messa celebrata da Pizzaballa a Gaza e le parole “Non siete dimenticati” lo testimoniano. Il Papa ha elencato le vittime, ha parlato di attacchi israeliani e violazioni del diritto. La speranza è certezza e sfida. Come scriveva Lee Masters: “Dare un senso alla vita può condurre a follia, ma una vita senza senso è la tortura dell’inquietudine…”. Serve chi alza le vele per cercare soluzioni e tessere relazioni. La speranza degli uomini è la più grande risorsa.

Il patriarca latino Pierbattista Pizzaballa e il patriarca greco-ortodosso Teofilo III si sono recati a Gaza portando con sé 500 tonnellate di aiuti umanitari per i cristiani e i loro vicini. Il giorno dopo l’attacco alla parrocchia della Sacra Famiglia, con tre morti e dodici feriti, Pizzaballa ha scelto la strada della presenza concreta: esserci, nel corpo, con le braccia aperte, nella città al 70% distrutta. Un gesto sostenuto da papa Leone con una telefonata personale: «Questo massacro deve finire». Anche Netanyahu ha invitato Leone XIV in Israele. Ma più delle dichiarazioni politiche conta l’essere lì: oltre le parole, accanto alle vittime, in una terra martoriata. La bussola della Chiesa rimane Cristo, in un mondo disorientato. Ogni vittima, ogni bambino morto, chiama Dio a giudizio. Il conforto? Che Cristo c’è. C’è chi va, chi bussa, chi prega sulle fosse. Il Vangelo non cambia: amatevi come io ho amato voi.

Partendo dal dibattito francese sulle strutture turistiche ‘adult only’, l’autore riflette sull’idea sempre più diffusa che i bambini siano un ostacolo al relax. Dalle offerte che promettono cene romantiche senza urla, a crociere rilassanti senza corse nei corridoi, emerge una filosofia che esclude i più piccoli come fonte di disturbo. Vitali individua due sottintesi pericolosi: il bambino come fastidio e la realtà come negativa. A questa visione oppone la sua esperienza in una vacanza comunitaria dove 110 bambini su 350 partecipanti rendono evidente che la convivenza tra generazioni arricchisce tutti. Cita lo psicologo Benemeglio sulla funzione educativa della vacanza in famiglia e ricorda, con affetto, un episodio in cui un bimbo sprona l’amico ad andare alla preghiera con un “È Dio che ci ha creati”. Conclude con un’ironia affettuosa contro le vacanze Harley-Davidson free, auspicando invece un mondo capace di educare e accogliere, anche nella confusione.

Nell’ambito dell’incontro tra i vescovi italiani e Papa Leone XIV, don Luca Peyron – coordinatore della Pastorale universitaria di Torino e figura di riferimento nel dialogo tra Chiesa e innovazione – ha proposto una riflessione sull’intelligenza artificiale, indicandola come un tema non solo tecnico ma esistenziale. Ha affermato che «la tecnologia, in particolare l’intelligenza artificiale, è un luogo della rivelazione», dove si manifestano domande profonde sull’uomo, il senso, la relazione. In questo contesto, la fede non può restare estranea: è chiamata a offrire una “antropologia profetica”, capace di custodire la dignità umana nell’era degli algoritmi. Peyron ha invitato la Chiesa a non limitarsi alla denuncia dei rischi ma a entrare nel dibattito culturale e politico, fornendo una proposta fondata sul Vangelo. Il Papa ha accolto con attenzione queste considerazioni, ribadendo che il compito della Chiesa è accompagnare il discernimento etico anche nei luoghi della tecnica.

Nell’intervista, il professor Luca Mari, docente alla LIUC di Castellanza, affronta il tema dell’intelligenza artificiale come sfida non solo tecnologica ma antropologica. Mari chiarisce che il termine ‘intelligenza artificiale’ è spesso usato impropriamente e che oggi si parla, in concreto, di sistemi basati su machine learning. L’evento rivoluzionario è rappresentato dall’avvento di ChatGPT, che ha reso l’IA un’esperienza diffusa, influenzando il nostro modo di pensare e interagire. Mari sottolinea che non è l’architettura dei sistemi a fare la differenza, ma l’addestramento e i dati. Invita quindi a riflettere sul ruolo dell’educazione: la scuola deve formare persone, non solo lavoratori, aiutando i giovani a diventare consapevoli e capaci di affrontare il cambiamento. L’adozione dell’IA nelle aziende è ancora limitata, ma naturale: serve comprensione e gradualità. Per Mari, il compito dell’accademico è offrire una coscienza critica, distinguendo ciò che è rilevante da ciò che è solo rumoroso.

Gianni Alemanno, detenuto a Rebibbia, racconta la vicenda di un compagno di detenzione che ha salvato un detenuto dal suicidio, denunciando poi le gravi carenze strutturali e sanitarie del carcere. Descrive il sovraffollamento, l’inadeguatezza delle strutture, e la mancanza di personale nei tribunali di sorveglianza. Cita il caso di detenuti anziani come Mario, rimasto in carcere sei giorni oltre l’assegnazione ai domiciliari. Racconta la natura comunitaria della vita in cella e lo spirito di solidarietà che spesso nasce tra detenuti. Critica duramente l’immobilismo istituzionale, chiedendo una “legge della buona condotta”, ovvero un provvedimento che preveda una liberazione anticipata speciale per chi mantiene un comportamento irreprensibile. Conclude affermando che non si chiede impunità, ma giustizia e umanità.

Il cardinale Pizzaballa descrive con parole gravi l’attuale realtà a Gaza, dove oltre cinquecento persone sono rimaste rifugiate nella parrocchia della Sacra Famiglia sotto continui bombardamenti. Le scorte accumulate durante l’ultima tregua stanno terminando, mentre la popolazione civile è allo stremo. Anche in Cisgiordania, riferisce il Patriarca, regna il caos: violenze crescenti da parte dei coloni, crisi economica, e una povertà diffusa che sta colpendo interi territori. Sul piano politico, ribadisce la difficoltà di pensare oggi a una pace reale: «Parlare di pace è prematuro», dichiara, sottolineando la necessità di creare condizioni nuove per costruirla, a partire dal cessate il fuoco. La soluzione dei due Stati, pur ritenuta ideale, è oggi rifiutata da Israele: «Va trovata una formula creativa», afferma. Centrale, per lui, è il ruolo della Chiesa, che può offrire un contributo decisivo per il futuro: «La grande sfida è creare, poco alla volta, una narrativa diversa da quella attuale, esclusiva e escludente, che disumanizza l’altro. I cristiani devono essere capaci di proporre un linguaggio alternativo, di reintrodurre nel dibattito pubblico parole come persona, dignità, rispetto, ascolto. Termini, forse, banali ovunque. Ma non da queste parti. La Chiesa non può fare da sola questo lavoro: deve coinvolgere tutte le altre fedi e collaborare con le tante organizzazioni e i movimenti per il dialogo presenti e vive nelle società israeliana e palestinese.» Il Patriarca rimane colpito soprattutto dalla tenacia della comunità locale e dei bambini della parrocchia, che continuano a giocare nonostante la guerra.

Papa Leone XIV ha confermato la nomina di padre Francesco Ielpo, già direttore del Franciscanum di Brescia, come nuovo Custode di Terra Santa. Succede a padre Patton. In un’intervista, padre Ielpo ha espresso il senso di sproporzione rispetto all’incarico, accettato confidando nell’azione dello Spirito Santo. Ha sottolineato che oggi non è tempo di leader solitari, ma di fratelli che camminano insieme. In un contesto di grave conflitto, padre Ielpo richiama lo stile di san Francesco, che durante le Crociate testimoniò un’altra via: il dialogo disarmato. Ha ricordato il valore del ‘restare’, citando una famiglia siriana che, seguendo l’esempio dei frati rimasti ad Aleppo, decise di non fuggire. Il servizio della Custodia continuerà con opere educative, assistenza e formazione, ma soprattutto con la presenza silenziosa e fedele accanto a chi soffre.