Pizzaballa: «Questione palestinese, una spada di Damocle. Parlare di pace è prematuro»
Il cardinale Pizzaballa descrive con parole gravi l’attuale realtà a Gaza, dove oltre cinquecento persone sono rimaste rifugiate nella parrocchia della Sacra Famiglia sotto continui bombardamenti. Le scorte accumulate durante l’ultima tregua stanno terminando, mentre la popolazione civile è allo stremo. Anche in Cisgiordania, riferisce il Patriarca, regna il caos: violenze crescenti da parte dei coloni, crisi economica, e una povertà diffusa che sta colpendo interi territori. Sul piano politico, ribadisce la difficoltà di pensare oggi a una pace reale: «Parlare di pace è prematuro», dichiara, sottolineando la necessità di creare condizioni nuove per costruirla, a partire dal cessate il fuoco. La soluzione dei due Stati, pur ritenuta ideale, è oggi rifiutata da Israele: «Va trovata una formula creativa», afferma. Centrale, per lui, è il ruolo della Chiesa, che può offrire un contributo decisivo per il futuro: «La grande sfida è creare, poco alla volta, una narrativa diversa da quella attuale, esclusiva e escludente, che disumanizza l’altro. I cristiani devono essere capaci di proporre un linguaggio alternativo, di reintrodurre nel dibattito pubblico parole come persona, dignità, rispetto, ascolto. Termini, forse, banali ovunque. Ma non da queste parti. La Chiesa non può fare da sola questo lavoro: deve coinvolgere tutte le altre fedi e collaborare con le tante organizzazioni e i movimenti per il dialogo presenti e vive nelle società israeliana e palestinese.» Il Patriarca rimane colpito soprattutto dalla tenacia della comunità locale e dei bambini della parrocchia, che continuano a giocare nonostante la guerra.
