Pier Paolo Pasolini emerge come un intellettuale di rara profondità nel Novecento italiano, capace di offrire categorie interpretative per i processi storici, al pari di figure come Croce o Gramsci. Massimo Borghesi lo definisce ‘il Marcuse italiano’, sottolineando come Pasolini abbia veicolato concetti quali l”uomo a una dimensione’, ridotto a mero individuo economico, in modo più incisivo nel contesto italiano. Pasolini intuì precocemente che il progressismo degli anni Sessanta e Settanta era un’ideologia funzionale a una ‘nuova destra tecnocratica’, e che la sinistra emergente dal ’68 era di natura borghese, non proletaria.
A differenza di Marcuse, che si mostrava ‘infatuato della contestazione giovanile’, Pasolini era ‘totalmente disincantato’, riconoscendo nel ’68 una ‘rivolta della borghesia, non del proletariato’. Questa contestazione, secondo Pasolini, mirava a distruggere i ‘vecchi valori cristiano-borghesi del dopoguerra’, generando un ‘individualismo di massa egoistico e solipsistico’. Egli auspicava un ‘nuovo illuminismo che non tagliasse le radici popolari’, poiché il progressismo tradizionale, assimilato all’antifascismo, era diventato un’arma spuntata, funzionale al nuovo potere. Pasolini, negli ‘Scritti corsari’, ammoniva sulla necessità di rimettere in discussione i presupposti di illuminismo e razionalismo, poiché il ‘nuovo potere consumistico e permissivo si è valso delle nostre conquiste mentali per costruire la propria impalcatura di falso laicismo, di falso illuminismo, di falsa razionalità’, culminando nella ‘sacralità del consumo come rito e della merce come feticcio’.

Il concetto di tempio, dalle prime case e catacombe cristiane fino alla grandiosa Basilica di San Giovanni in Laterano, riflette una profonda evoluzione nel rapporto tra fede e spazio fisico. Sebbene le chiese siano ‘l’involucro accogliente del nostro rapporto con Cristo’, non possono sostituire l’affezione personale per Lui. Già i primi cristiani, come il filosofo Giustino, affermavano che ‘il Dio dei cristiani, che è invisibile, non si può circoscrivere in alcun luogo, ma riempie il cielo e la terra ed è venerato e glorificato ovunque dai suoi fedeli’. Anche Cristo stesso mise in discussione la permanenza delle strutture fisiche, dicendo: ‘Verranno giorni in cui, di tutto quello che ammirate, non resterà pietra su pietra che non venga distrutta’.

Nonostante ciò, la necessità di un luogo fisico emerse per celebrare la Liturgia e radunare la comunità cristiana, come suggerisce l’etimologia stessa del termine ‘chiesa’ (ekklesía: comunità, convocazione). Architettura, arte e ogni elemento all’interno della chiesa furono quindi incaricati di significare ‘la ragione del radunarsi’, agendo come un ‘silenzioso grido volto a comunicare la presenza di un Altro’. Tuttavia, l’essenza della fede trascende queste strutture; ‘C’è una cosa, però, che non può essere sostituita dalle pietre, dall’arte, dal tempio: il modo con cui ciascuno ha deciso di vivere la vita’. Papa Francesco ha evidenziato la scelta sorprendente di Dio di iniziare il rinnovamento non dai templi, ma ‘dal grembo di una donna piccola e povera del suo Popolo’, sottolineando come l’intervento divino spesso parta dalla periferia. Questo ci ricorda che ogni tentazione di ‘rifugiarci in strutture, fisiche o mentali che siano’ dovrebbe riportarci a guardare le pietre dei nostri templi, non per adorarle, ma per richiamare ‘l’incessante iniziativa di un Altro in mezzo a noi’. Don Giussani chiarisce ulteriormente che ‘Il coinvolgimento di Dio con la vita dell’uomo si attua sempre attraverso un punto preciso, carnale, nel tempo e nello spazio, in cui l’interferenza del Mistero avviene. È l’idea di tempio’, evidenziando che il tempio rappresenta il metodo scelto da Dio per farsi conoscere.

Anna Laura Braghetti, scomparsa a 72 anni, è stata una figura di spicco e tra le più efferate militanti delle Brigate Rosse. Nel 1978, a soli venticinque anni, partecipò al sequestro di Aldo Moro e, l’anno seguente, si rese responsabile dell’uccisione di due poliziotti a piazza Nicosia. Nel 1980, sparò a Vittorio Bachelet, vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, lasciandolo senza vita. Nonostante l’arresto nello stesso anno, la Braghetti rifiutò sempre di unirsi ai ‘dissociati’ o ai ‘pentiti’, intraprendendo invece un percorso di pentimento autentico e lancinante, consapevole del terribile male compiuto in nome di un ideale di giustizia. Nel suo libro autobiografico ‘Il prigioniero’, pubblicato nel 1998, descrisse il vuoto e l’orrore delle sue azioni, affermando: ‘Dopo l’azione provai un senso di vuoto assoluto’ e ‘la mia punizione non è il carcere, ma quell’immagine. Sono condannata ad averla per sempre davanti agli occhi, e a non volerla scacciare’. L’incontro più significativo e trasformante avvenne in carcere con Adolfo Bachelet, fratello gesuita di Vittorio, che andò a cercarla. La Braghetti ricordò come ‘Ai funerali di Vittorio Bachelet la famiglia perdonò gli assassini, pregò per me’, e come da Adolfo ricevette ‘una grande energia per ricominciare, e un aiuto decisivo nel capire come e da dove potevo riprendere a vivere nel mondo e con gli altri’. Successivamente, incontrò anche Giovanni Bachelet, figlio di Vittorio, che le disse: ‘Bisogna saper riaccogliere chi ha sbagliato’, un gesto di riconciliazione che la Braghetti commentò riconoscendo di aver ricevuto ‘solo del bene’ in cambio del danno irreparabile causato.

L’Università Bocconi ha ospitato un dibattito intitolato ‘What was (A)I made for’, incentrato sull’intelligenza artificiale e il suo impatto sulla comunità, con la partecipazione dell’Arcivescovo Mario Delpini, Marta Cartabia, Francesco Billari e Fabio Mercorio. L’incontro ha preso spunto dal caso di Adam Raine, un sedicenne isolatosi in un dialogo con ChatGPT, e dalla crescente tendenza a usare l’AI per terapia e amicizia. Fabio Mercorio ha spiegato che l’AI ‘usa il criterio della probabilità per approssimare un ragionamento’, a differenza dell’essere umano. Marta Cartabia ha evidenziato come l’AI interroghi la società sul mondo che stiamo creando, specialmente per i giovani che cercano amicizia nelle macchine. Ha sottolineato l’urgenza di ‘educarsi e istruirsi su come utilizzare in concreto l’IA, sapendo cosa possiamo chiederle e cosa no’, proponendo un approccio europeo basato su libertà e regole per mantenere la persona al centro. L’Arcivescovo Delpini ha distinto tra ‘strumento’, usato per scopi utilitaristici, e ‘mezzo’, che favorisce la dinamica relazionale, affermando che ‘la persona consapevole di sé decide se vivere nella relazione o nella solitudine’. Ha aggiunto che la spiritualità non è un analgesico, ma ‘un’apertura al mistero’ e un modo per ‘edificare una società in cui sia desiderabile abitare’. Di fronte alla responsabilità verso i giovani, Mercorio ha ricordato che dall’AI ‘ci aspettiamo la verità e arriva la verosimiglianza’. Delpini ha proposto tre parole chiave per contrastare il vuoto esistenziale: il ‘buon vicinato’, la ‘conversazione’ e l”intercessione’, intesa come prendersi cura degli altri. Oreste Pollicino e il rettore Billari hanno concluso ribadendo il ruolo dell’Università come ‘luogo di resistenza cognitiva’ e comunità fisica e relazionale, essenziale per una ricerca di senso duratura.

Negli ultimi mesi, l’Italia ha assistito a una serie di tragici eventi che hanno coinvolto adolescenti, da omicidi a ferimenti in agguati e incidenti dolosi, lasciando famiglie e comunità ‘straziate e cambiate per sempre’. La generazione nata tra il 2007 e il 2011, cresciuta con lo smartphone e il Covid, si trova al centro di studi e dibattiti, spesso fonte di preoccupazione per genitori ed educatori. La percezione comune è una ‘distanza morale’ tra adulti e giovani, non affettiva o intellettuale, ma nella concezione stessa della realtà. Il digitale ha profondamente alterato categorie come tempo, spazio, vero e falso, e persino il concetto di amicizia, ora legato a ‘reel’ e ‘like’ sui social media. Un linguaggio specifico, con termini come ‘basato’ o ‘flexare’, caratterizza le loro interazioni online, prevalentemente su piattaforme come Telegram, Instagram e YouTube. La Gen-Z (1997-2011) scopre la politica e le ideologie, inclusi fascismo e nazismo, attraverso il gaming online, dove ‘dietro ogni partita c’è un mondo di amicizie e di ideologie’. Questi ambienti, influenzati anche dalla cultura woke, possono generare nuove violenze e miti, alimentati da un solipsismo che impoverisce i legami corporei e rende i giovani ‘in balia di ogni ancoraggio’. Di fronte a fenomeni come bullismo, cyberbullismo, fluidità di genere e ritiro sociale, i genitori si interrogano su come ‘amare’ in questo contesto. La risposta non risiede solo nell’affetto, ma nell’orientare i giovani verso il ‘destino’, trasmettendo direzione e senso. L’autorevolezza adulta nasce dal guardare a una ‘meta’, e la sfida per gli adulti è ‘restare senza lasciarsi spostare dalle provocazioni, dagli errori, dai test’. Il vero segreto per debellare violenza e anomalie è l’ascolto e la curiosità, riconoscendo che i figli e gli studenti non sono ‘qualcosa da aggiustare, sono una promessa da riconoscere’.

Massimo Recalcati esprime la sua persistente perplessità riguardo all’introduzione di una materia didattica dedicata all’educazione sessuale e affettiva nei programmi scolastici, nonostante la replica di Concita De Gregorio. Sostiene che l’educazione, in senso lato, debba scaturire dalla vita della scuola ‘nel suo complesso’, attraverso l’attività didattica e le relazioni, piuttosto che da un insegnamento esplicito. Un bravo insegnante non è un ‘educatore di professione’ o un ‘filosofo della morale’, e la didattica è già intrinsecamente educativa. Recalcati preferisce ‘una lezione su Flaubert o su Saba’ a una spiegazione “educativa” su tolleranza e rispetto, temendo una ‘caduta psicologistica’ che alimenti l’illusione di ‘esperti’ in grado di definire una sessualità o affettività “giusta”.
Il ragionamento si estende al tema della prevenzione, dove l’autore, forte di 35 anni di esperienza clinica, critica il ‘modello greco’ secondo cui la trasmissione del sapere dissuaderebbe dalle cattive pratiche, un’idea che ‘alimenta purtroppo solo illusioni’. Ricorda la domanda di Paolo di Tarso, ‘Perché non faccio quello che veramente voglio, ma solo quello che detesto?’, evidenziando come la psicoanalisi abbia messo al centro il paradosso per cui gli esseri umani possono tendere al proprio male pur conoscendo il bene.
Recalcati individua due condizioni fondamentali per una vita affettiva e sessuale gioiosa: la ‘testimonianza reale’ dei genitori o di adulti di riferimento, che dimostrino la possibilità di amare e desiderare senza prevaricazione; e il ruolo della scuola come comunità nell”alimentare il desiderio di vita’ e favorire l’accensione dell’esistenza dei giovani. Le distorsioni affettive e sessuali non derivano da un non sapere, ma dalla ‘chiusura della vita’ e dalla paura, che Pasolini definiva ‘vuoto di cultura’ generatore di ‘desiderio di morte’. La trasmissione della cultura, al contrario, accende il desiderio di vita, considerata l’unica vera prevenzione possibile.

Le domande esistenziali dei giovani, come ‘Io chi sono?’, rappresentano un fuoco interiore che spesso gli adulti, pur con le migliori intenzioni, tendono a spegnere, forse per timore di affrontare questioni scomode. Questa tendenza a separare il desiderio e il cuore dalla conoscenza è criticata, poiché ‘significherebbe spezzare la persona’. L’educazione dovrebbe invece essere un incontro empatico e aperto, che integra la ragione con le esigenze primarie di verità, bellezza e giustizia, seguendo il paradigma di san John Henry Newman: ‘cor ad cor loquitur’. Il percorso di conoscenza è un cammino continuo, dove ‘insegnanti e discepoli camminano insieme, consapevoli di non cercare invano ma, al tempo stesso, di dover cercare ancora, dopo aver trovato’. L’educazione cristiana è concepita come un’opera corale, un ‘noi’ che impedisce la stagnazione e favorisce il nutrimento, agendo come argine insieme alla grande domanda di significato. L’educatore non è solo un erogatore di sapere, ma una persona che impara e si corregge, riconoscendosi ‘figlio’ per poter ‘generare’. In tempi di incertezza, ‘educare è un atto di speranza’, basato su principi come la centralità della persona, l’alleanza scuola-famiglia e la cura dell’interiorità, offrendo una bussola per la navigazione futura.

La percezione e la gestione della morte variano significativamente tra le culture e nel corso della storia occidentale. Mentre l’antropologa Sara Zambotti ha sollevato la questione della ‘paura a trattare (e festeggiare) la morte’ in Occidente, dove è stata ‘nascosta negli ospedali, nei cimiteri’, la tradizione cristiana ha sempre avuto un approccio distinto. A differenza di pratiche come il ‘Famadihana’ in Madagascar o i ‘Días de Muertos’ messicani, il cristianesimo non ‘festeggia’ la morte, riconoscendone il dolore profondo, come dimostrato da Gesù stesso che ‘ha pianto di commozione davanti al sepolcro dell’amico Lazzaro’. La fede cristiana celebra la Resurrezione di Cristo, che ‘ha attraversato la morte, portando il suo volto nei più disperati recessi degli Inferi’, offrendo speranza e vittoria sulla morte. L’articolo critica l’omologazione culturale, in particolare la commercializzazione di Halloween, e invita i cristiani a mantenere la loro ‘radicale diversità’, non cedendo all”amalgama del pensiero debole’, un monito che risuona con l’esortazione di Paolo ai Romani: ‘Non conformatevi alla mentalità di questo mondo’.

Halloween si è affermato come un fenomeno culturale dominante, soppiantando le tradizionali celebrazioni di Ognissanti e della Commemorazione dei Defunti nel discorso pubblico. I media, ad esempio, parlano ormai di ‘weekend di Halloween’ anziché di ‘ponte dei Morti’, evidenziando una ‘clamorosa rimozione linguistica e culturale’. Questa ‘marcia silenziosa ma inesorabile delle zucche vuote’ ha portato a una proliferazione di oggetti kitsch e gadget macabri, trasformando la festa in un secondo Carnevale dominato da una ‘macabra messinscena’. Lungi dall’essere una festa innocente, Halloween è descritta come una celebrazione pagana, ‘della paura e non della gioia, dell’orrido e non della bellezza’. Le sue origini risalgono alla festa celtica di Samhain, importata negli Stati Uniti e poi ‘tornata’ in Europa, caratterizzata da riti magici. La sua diffusione, anche in contesti educativi e religiosi, ha sollevato allarmi, con il vicepresidente dell’Associazione internazionale esorcisti che esprime preoccupazione per l”esposizione dei giovani all’orrido, persino al satanismo’. Si sostiene che questa normalizzazione dell’orrore ‘abitua al buio fisico e morale, spegne la speranza’ e allontana le nuove generazioni dai valori di bene e verità, preferendo la compagnia di ‘spettri, mostri, streghe e creature infernali’ agli esempi di santità.

Il documento sinodale, approvato dall’Assemblea della Chiesa in Italia dopo quasi cinque anni di discussioni, è stato oggetto di ampie interpretazioni mediatiche, che ne hanno spesso enfatizzato aspetti legati a temi come l’apertura alle coppie omosessuali o il sostegno ai Gay Pride. Monsignor Giovanni Paccosi, vescovo di San Miniato, chiarisce che tali letture rappresentano ‘la forzatura di far diventare richiesta di tutti ciò che era solo di pochi’, sottolineando che ‘riconoscere’ non è sinonimo di ‘accogliere’ e che Papa Francesco accoglie tutti ma non accetta ‘bandiere’ ideologiche.

Il documento nasce da un lungo cammino in tre fasi – narrativa, sapienziale e profetica – con l’obiettivo di fornire indicazioni concrete ai vescovi. I suoi temi fondamentali riguardano la necessità di una Chiesa missionaria con uno stile di prossimità, un cambiamento nella formazione cristiana che valorizzi la vita comunitaria e la preghiera, e una revisione della gestione delle strutture ecclesiastiche. L’ambiguità riscontrata nel testo deriva dal tentativo di ‘tenere insieme tutti, anche posizioni effettivamente molto polarizzate’, includendo anche posizioni minoritarie per non escludere nessuno, sebbene questo abbia talvolta compromesso la ‘vivezza di esperienza’.

Paccosi evidenzia che l’orizzonte del documento è ben più ampio delle questioni mediaticamente discusse, concentrandosi sulla testimonianza di Cristo e sulla formazione che si realizza nella comunità. Riconosce il rischio di un approccio troppo sociologico o ideologico, ammettendo che ‘il rischio, nella nostra esperienza, è sempre quello di dare per scontata la fede’, ma ribadisce che lo scopo del sinodo è ‘iniziare uno stile e un metodo’ basato sull’ascolto e sulla consapevolezza che ‘chi fa è Cristo e che noi siamo strumenti nelle sue mani’. La sinodalità, per Paccosi, non è un sistema democratico, ma ‘la dinamica della comunione’, un aiuto per vivere la coscienza di essere una cosa sola in Cristo. Il metodo della conversazione nello Spirito, fondato sull’ascolto reciproco e la preghiera, è cruciale per superare il clericalismo e la tentazione di imporre le proprie opinioni, permettendo a tutti di essere costruttori della Chiesa.