Un ragazzo di 16 anni, Adam Raine, si è suicidato negli Stati Uniti impiccandosi nella sua stanza. Da tempo aveva mostrato segni di chiusura e difficoltà, ma nessuno – né familiari, né amici – si aspettava un epilogo simile. L’unico ‘compagno di cammino’ a conoscere i suoi pensieri più oscuri era ChatGPT, con cui parlava quotidianamente di sport, ragazze, vita quotidiana e persino di suicidio.

Adam avrebbe aggirato i sistemi di sicurezza del chatbot, che cercano di impedire contenuti pericolosi, fino a ricevere istruzioni su come togliersi la vita. L’autore dell’articolo riflette amaramente sul ruolo della tecnologia, capace di sembrare vera e vicina, ma che può ingannare e accrescere la solitudine, come accade nel film *Her* con Joaquin Phoenix.

La famiglia ha sporto denuncia contro ChatGPT, ma resta l’amara consapevolezza che la tecnologia proseguirà comunque il suo cammino. L’episodio solleva domande urgenti sulla responsabilità etica dell’intelligenza artificiale e sul bisogno umano di relazioni autentiche. «Indietro non si torna. Speriamo di capire come andare avanti. God Bless America!», conclude Maniscalco.

Nel panorama cinematografico emergono due opere sul confine tra vita e morte. *L’ultimo turno* di Petra Volpe, premiato alla Berlinale 2025, racconta la giornata estenuante di un’infermiera, Floria Lind, che con gesti di cura quotidiana incarna la legge naturale iscritta nella coscienza, resistendo al collasso del sistema sanitario. *La grazia* di Paolo Sorrentino, presentato alla Mostra di Venezia, mette invece in scena un presidente della Repubblica che si confronta con una legge sull’eutanasia e con la richiesta di grazia di un uomo che ha ucciso la moglie malata senza consenso. Qui prevale la logica della legge positiva, piegata al dubbio personale e al potere politico.

Binetti contrappone i due approcci: Floria accompagna con ascolto chi soffre; il presidente De Santis decide con una firma chi può morire. Due solitudini che incarnano il conflitto tra legge naturale e legge positiva. Il nodo centrale non è solo nei film, ma nel modo in cui vengono narrati: *La grazia* ha ricevuto grande copertura mediatica, divenendo trend sui social e strumento nel dibattito politico sul fine vita. *L’ultimo turno*, invece, pur riconosciuto come grande film, è stato lasciato nel silenzio mediatico.

L’autrice denuncia il potere manipolativo della narrazione attorno a un film, capace di orientare opinioni e decisioni legislative. Se Sorrentino contribuisce a legittimare culturalmente una legge controversa, Volpe invita a riflettere sul valore del lavoro di cura e sulla dignità della coscienza. La domanda finale resta aperta: chi decide quali voci meritano attenzione e quali vengono oscurate? Forse, come Floria, il compito è restare accanto senza clamore, servire senza potere, decidere senza leggi.

L’Happening della speranza, dal titolo «Dopo tanta nebbia a una a una si svelano le stelle» (Ungaretti), si terrà dal 5 al 7 settembre a Reggio Emilia, promosso dalla Diocesi e dal Centro Culturale Blaise Pascal con il patrocinio del Comune. Fulcro della manifestazione è la mostra «Franz e Franziska, non c’è amore più grande», che racconta la vicenda del contadino austriaco Franz Jägerstätter, obiettore di coscienza al nazismo, e della moglie Franziska, che ne custodì la memoria. Accanto a questa, altre due esposizioni: «Gli Amici di Rolando: un incontro che cambia la vita» e «Siamo davvero unici? Domande e sfide ai tempi dell’Intelligenza Artificiale» a cura de Gli Argonauti.

Il programma prevede: venerdì 5 settembre laboratori per bambini, apertura mostre, saluto dell’arcivescovo Morandi e uno spettacolo su Gaudí e Giorgio Gaber. Sabato 6 settembre incontro «C’è speranza in Terra Santa?» con mons. Rafic Nahra e Leone Grotti, stand gastronomici e festa di popolo serale. Domenica 7 settembre incontro su Franz e Franziska con don Emmanuele Silanos, celebrazione della Messa e pranzo comunitario.

Il senso dell’Happening è quello di proporre la speranza come certezza presente, capace di affrontare le sfide del tempo, tra memoria storica, testimonianze di fede e apertura al futuro.

Il primo settembre appare come uno spartiacque, un bilancio tra ciò che si è guadagnato e ciò che si è perduto. È il tempo in cui emergono la malinconia per i volti e le storie che non ci sono più e, insieme, la speranza di un senso più grande. Ogni anno settembre segna un cambiamento: la vita ordinaria riprende, ma niente è davvero come prima. Gli oggetti e i ricordi diventano sacri, segni di un passato che accompagna il presente.

Il cristianesimo pone al cuore di settembre due feste – la Santa Croce e la memoria di Maria Addolorata – come risposta al tema del dolore e della perdita. Von Balthasar parla del ‘già e non ancora’: ogni frammento di bene è caparra di un Bene più grande che deve maturare. Così settembre non è solo il mese dei rimpianti, ma della promessa. L’esistenza non è qualcosa che passa, ma Qualcuno che viene. La speranza non è illusione, ma fioritura reale in gesti di amore, amicizia, semi di bene.

Maria, sotto la croce, vive un nuovo modo di essere madre: in questo strazio la speranza si fa concreta. Tutto il bene sperimentato è eco di un bene eterno, che supera ogni desiderio umano. Ogni giorno di settembre – dalla coda in ufficio alla malinconia dell’autunno – può diventare segno del Mistero che fa capolino e trasforma ogni inquietudine in santità.

Settembre, allora, non è solo passaggio di stagioni, ma tempo di resurrezione, promessa che ciò che sembra perduto può essere ridonato ancora.

Il 28 agosto 2025, Papa Leone XIV ha ricevuto in udienza nella Sala del Concistoro una delegazione di rappresentanti politici e civili della Val de Marne, diocesi di Créteil. Il Pontefice ha ribadito che «il cristianesimo non si può ridurre a una semplice devozione privata, perché implica un modo di vivere in società improntato all’amore di Dio e del prossimo che, in Cristo, non è più un nemico ma un fratello».

Il Papa ha incoraggiato gli eletti a vivere la fede nel loro ruolo pubblico, nonostante le difficoltà legate a una laicità spesso fraintesa in Francia. Ha ricordato che la salvezza di Cristo abbraccia tutte le dimensioni della vita – cultura, economia, famiglia, lavoro, salute, politica – e che la carità, dono ricevuto nel battesimo, deve diventare anche carità sociale e politica, capace di rinnovare strutture e ordinamenti.

Ha esortato a non separare la propria identità cristiana dall’impegno politico: «Non c’è da una parte l’uomo politico e dall’altra il cristiano, ma l’uomo politico che, sotto lo sguardo di Dio, vive cristianamente le proprie responsabilità». Il Papa ha invitato i responsabili a unire coraggio e fede, anche quando occorre dire “no” per difendere la verità, ricordando le parole di Cristo: «Abbiate fiducia; io ho vinto il mondo» (Gv 16,33).

Concludendo, Leone XIV ha incoraggiato i presenti a custodire la speranza di un mondo migliore e a confidare che, uniti a Cristo, i loro sforzi porteranno frutto. Ha affidato la diocesi e la Francia a Nostra Signora dell’Assunzione, impartendo la Benedizione Apostolica.

Mercoledì 27 agosto 2025, all’Annunciation Catholic School di Minneapolis, un uomo ha sparato contro la cappella durante la messa di inizio anno scolastico. Due bambini di otto e dieci anni sono stati uccisi e altre 17 persone ferite. L’attentatore, Robin Westman, 23 anni, si è tolto la vita. L’FBI ha classificato il gesto come atto di terrorismo interno e crimine d’odio contro i cattolici.

La tragedia ha colpito tre pilastri considerati protetti – educazione, fede, infanzia – e il fatto che i bambini siano stati il bersaglio diretto rende l’evento esistenzialmente destabilizzante. Non si è trattato di un impulso, ma di un attacco preparato e simbolico, volto a colpire la fede e ciò che rappresenta.

Le reazioni delle autorità e delle famiglie sono state di sgomento: se neppure durante la messa i piccoli sono al sicuro, vacilla la fiducia stessa nella protezione sociale. Non si tratta soltanto di leggi sulle armi o di estremismi, ma della domanda radicale su cosa tenga unita una comunità.

L’odio si alimenta in fratture e isolamento, e quando prende di mira la fede significa che questa è ancora viva e capace di generare identità. L’esito immediato è devastante: famiglie distrutte, una scuola segnata, bambini traumatizzati. Ma la portata a lungo termine dipenderà dalla capacità di leggere questo fatto non come una statistica, ma come un appello a ricostruire legami, a proteggere i piccoli e a vigilare come comunità. Solo gesti quotidiani di cura reciproca possono arginare lo spazio in cui l’odio cresce.

Le parole di Sant’Agostino attraversano i secoli senza perdere forza. L’Ipponate non fu un maestro di formule, ma un ‘compagno di viaggio’ che ha vissuto crisi culturali e smarrimenti, senza temere le domande radicali sull’esistenza. Per lui i dubbi non sono nemici della fede, ma tappe verso la verità.

Al centro del suo pensiero vi è l’interiorità: rientrare in se stessi non come fuga, ma come autenticità, come ricerca di un desiderio che supera l’uomo. È un messaggio attuale in un mondo frammentato e dominato dal rumore esterno.

Agostino visse la libertà in modo drammatico: come possibilità di scegliere il bene, non come arbitrio. La libertà è responsabilità, liberazione dal disordine interiore resa possibile dalla grazia. In tempi in cui la libertà è ridotta a consumo, la sua visione resta luminosa.

Nelle *Confessioni* descrisse il tempo come intreccio di memoria, attenzione e attesa. Il tempo non si domina: si abita. Non è possesso, ma occasione di crescita e di speranza. In un’epoca segnata da ansia e fretta, questa è una prospettiva liberatoria.

Agostino, consapevole della vulnerabilità umana, indica una salvezza che nasce dal dono, non dall’autosufficienza. Il suo pensiero non è evasione ma invito a vivere responsabilmente la realtà, riconoscendo che ogni frammento di bene rimanda a un’origine più grande.

La sua eredità è un metodo: affrontare le domande decisive, coltivare interiorità, vivere la libertà come responsabilità, abitare il tempo come attesa di senso. In un mondo precario e impaurito, la sua voce ridona fiducia: la bellezza non è consumo, la felicità non è possesso, la verità non è arbitrio.

Agostino ricorda che l’uomo non vive da solo: città terrena e città di Dio si intrecciano, e il compito è discernere. La sua lezione più attuale è non smettere di cercare, non accontentarsi dell’immediato. Nella fragilità della vita invita a guardare oltre, verso la pienezza promessa. «Inquieto è il nostro cuore finché non riposa in Te».

Troppo spesso gli adolescenti vengono definiti ‘problematici’, ridotti a casi clinici o statistiche. Così facendo, gli adulti evitano la responsabilità di ascoltarli e comprenderli. Cornaggia cita il caso di una studentessa che, scrivendo della separazione dei genitori e dei suoi pensieri suicidari, fu subito indirizzata a uno psicologo: un esempio di mancato ascolto che ha marchiato la ragazza come ‘malata’.

Il vero problema non è nei ragazzi, ma negli adulti fragili, incapaci di reggere il dolore dei figli. Spesso sono i giovani a proteggere i genitori, nascondendo tagli o sofferenze per non ferirli ulteriormente. Le statistiche sugli accessi ai pronto soccorso o alle neuropsichiatrie non spiegano la natura del disagio: ciò che serve è stare accanto, parlare anche del suicidio senza paura, non ridurre il dolore a patologia.

Secondo Cornaggia, l’urgenza non è sanitaria o educativa, ma culturale: l’“io” degli adolescenti appare dormiente e ha bisogno di essere evocato da incontri veri, da relazioni autentiche che risveglino energie sopite. Non si tratta di modelli psicologici, ma di un bisogno profondo di senso, come ricordano Leopardi o Levinas.

Citato anche Julián Carrón, che richiamava Giussani e Testori: la ripresa passa dall’incontro con una presenza diversa, non solitaria, capace di fungere da catalizzatore. Gli adolescenti chiedono adulti disposti a rischiare una paternità nuova: presenze capaci di ascoltare, mettersi in gioco, reggere il dolore e proporre un giudizio senza biasimo.

La quarantaseiesima edizione del Meeting di Rimini si è aperta con due storie di madri segnate dal conflitto ma capaci di scegliere il dialogo. Layla al-Sheik, palestinese, ha perso suo figlio Qusay di soli sei mesi durante la seconda Intifada, mentre cercava di metterlo in salvo. Dopo anni di dolore e smarrimento ha aderito al Parents Circle-Families Forum, che riunisce famiglie israeliane e palestinesi unite dal lutto. Al suo fianco Elana Kaminka, israeliana, madre di Yannai, un soldato ucciso il 7 ottobre 2023 dopo aver salvato 80 reclute e 20 civili. Anche lei ha trovato nel Parents Circle il modo di trasformare la perdita in impegno per la pace.

Le due donne vivono a pochi chilometri di distanza, separate da muri e checkpoint, ma unite da un’amicizia concreta. «Noi siamo madri – ha detto Elana – bisogna avere buoni vicini per avere una buona vita. Gli estremisti pensano di poter eliminare i vicini, ma non sarà mai così». Layla ha ricordato le difficoltà quotidiane di Gaza e Cisgiordania, ma anche la speranza che nasce dall’incontro e dalla memoria condivisa.

Il presidente della Fondazione Meeting, Bernard Scholz, ha sottolineato che il titolo di questa edizione – ‘Nei luoghi deserti costruiremo con mattoni nuovi’ – indica la possibilità di seminare conciliazione anche nei deserti della guerra. A portare la sua voce è stata anche suor Aziza, comboniana eritrea, che ha raccontato la sua esperienza tra i beduini del deserto di Giuda: «Il muro ci separa dal volto dell’altro, ma quando si vede il volto dell’altro si vede Dio».

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, nel suo messaggio, ha richiamato il valore dei ‘costruttori di comunità, convivenza e pace’. Papa Leone XIV, nel saluto al Meeting, ha invitato a «lasciarsi sospingere nel deserto e vedere fin d’ora ciò che può nascere dalle macerie e da tanto, troppo dolore innocente». Così, la ferita insanabile della perdita di un figlio diventa segno che, anche nel conflitto più aspro, è possibile intravedere strade nuove di riconciliazione e speranza.

Papa Leone XIV ha proclamato una giornata di digiuno e preghiera per la pace in occasione di venerdì 22 agosto, Beata Vergine Maria Regina. Il titolo di ‘Regina’ non è un onore poetico, ma riconoscimento di una maternità che abbraccia l’intera umanità: Maria non domina ma custodisce, non schiaccia ma solleva. È Regina perché Madre, capace di libertà e amore anche sotto la croce.

Oggi ‘Regina della pace’ non è un richiamo distante, ma un’urgenza viva: la Terra Santa continua a sanguinare, l’Ucraina non trova tregua, altre guerre dimenticate mietono vittime. Ma la guerra non abita solo nei palazzi della politica: attraversa il cuore umano, fatto di rivalità, rancori e orgoglio. Maria conosce questa fatica interiore e accompagna i nostri smarrimenti.

Il digiuno e la preghiera non sono riti esteriori, ma vie concrete per ridare respiro all’anima: digiunare significa fare spazio interiore, riconoscere che non siamo padroni della vita; pregare significa consegnare le inquietudini a un Altro che può trasfigurarle. Così impariamo a non cedere all’indifferenza e a non abituarci al dolore altrui.

La vera pace non nasce solo da trattati, ma quando ciascuno depone le armi interiori: sospetto, diffidenza, odio. È una lotta silenziosa che si combatte nella vita ordinaria. Maria, Regina della pace, non toglie le fatiche, ma mostra che anche le lacrime possono generare speranza. Quando la invochiamo, non ci rivolgiamo a una sovrana lontana, ma a una Madre vicina. La sua regalità è prossimità e intercessione. Le parole della liturgia – ‘Maria, Regina della pace, interceda perché i popoli trovino la via della pace’ – diventano così un grido concreto che riguarda tutti.

Forse non vedremo subito la fine delle guerre, ma già ora è possibile il miracolo del perdono, della riconciliazione e della fraternità ritrovata. È da qui che riparte la storia: da uomini e donne che, seguendo Maria, scelgono la via della pace.