Gaza, la pace passa anche da noi
Non serve essere esperti o conoscere tutti i dettagli per comprendere il nocciolo di ciò che avviene a Gaza: si tratta di violenza che nasce quando l’altro viene considerato nemico della nostra felicità. La condizione esistenziale — malessere, vuoto, rabbia, vendetta, ignoranza — è una chiave utile per capire i grandi cambiamenti del mondo; politiche e vita personale non sono separabili. Israele è sotto shock dagli attacchi dell’ottobre 2023 e ha intrapreso una guerra che non può vincere; mentre la Corte penale internazionale ha incriminato Netanyahu, l’Onu parla di possibili crimini gravi e la Striscia conta decine di migliaia di morti, soprattutto civili. Mancano aiuti e regna la carestia.
Il riconoscimento dello Stato palestinese non sarebbe una ricompensa a Hamas ma potrebbe essere un’opportunità per Israele per costruire rapporti migliori con il mondo arabo e per responsabilizzare l’Autorità palestinese. La recente Dichiarazione di New York — che prevede disarmo di Hamas, rilascio degli ostaggi e un governo civile — sarebbe accettabile in altre circostanze e non è impossibile ipotizzare accordi su una forza di interposizione, su chi controlla gli accessi e sulla ricostruzione. Non può essere accettabile una soluzione che imponga l’esodo forzato di quasi due milioni di persone.
Il contributo alla pace parte da noi: occorre lavorare sull’ecologia umana. La pace richiede individui in armonia con se stessi, persone che non sentano bisogno di distruggere chi è diverso per difendere la propria felicità. Quel primo stato di armonia si chiama gioia. L’economia e la prosperità di Israele dipendono dalle relazioni internazionali; saperlo aiuta a decidere quali sanzioni o pressioni applicare. In definitiva, anche chi non conosce tutti i retroscena storici può e deve contribuire alla pace, coltivando in primo luogo la propria pace interiore e la capacità di desiderare il bene dell’altro.
