Il destino religioso di Van Gogh

La vicenda di Vincent van Gogh non è racchiudibile entro i confini della biografia o della critica artistica. Massimo Cacciari e Giovanni Testori, in testi recentemente ripubblicati o ritrovati, ne mettono in luce la natura profetica e religiosa. Van Gogh, prima ancora di essere pittore, aveva coltivato il desiderio di seguire le orme del padre pastore riformato: teneva sermoni nelle comunità contadine e già allora descriveva l’esistenza come il cammino di un pellegrino, triste eppure esultante, verso Dio.

Cacciari sottolinea che la sua pittura è una ‘estrema icona’: non rappresenta, ma rivela. Van Gogh rimane sempre un pellegrino che attraversa la realtà come un mistico, senza trovare approdo definitivo. Testori richiama una lettera dell’artista alla sorella Willemien, in cui Van Gogh scriveva di voler creare ritratti che, a distanza di secoli, apparissero come ‘apparizioni’. Così, dipingendo l’amico Eugène Boch, inserì un cielo stellato come segno del destino infinito.

La sua pittura è dunque irriducibilmente religiosa: nasce dalla coscienza dolorosa di una mancanza che abita tutta la realtà. Per questo rifiuta qualsiasi composizione armonica e chiusa: è tensione aperta, preghiera dipinta. Van Gogh stesso diceva: ‘La nostra vita è il viaggio di un pellegrino, siamo stranieri sulla terra’. Anche nell’arte resta straniero, perché il suo orizzonte non è la misura estetica, ma il Mistero.