ADOLESCENTI PROBLEMATICI?/ “No, chiedono adulti capaci di rischiare una paternità nuova”
Troppo spesso gli adolescenti vengono definiti ‘problematici’, ridotti a casi clinici o statistiche. Così facendo, gli adulti evitano la responsabilità di ascoltarli e comprenderli. Cornaggia cita il caso di una studentessa che, scrivendo della separazione dei genitori e dei suoi pensieri suicidari, fu subito indirizzata a uno psicologo: un esempio di mancato ascolto che ha marchiato la ragazza come ‘malata’.
Il vero problema non è nei ragazzi, ma negli adulti fragili, incapaci di reggere il dolore dei figli. Spesso sono i giovani a proteggere i genitori, nascondendo tagli o sofferenze per non ferirli ulteriormente. Le statistiche sugli accessi ai pronto soccorso o alle neuropsichiatrie non spiegano la natura del disagio: ciò che serve è stare accanto, parlare anche del suicidio senza paura, non ridurre il dolore a patologia.
Secondo Cornaggia, l’urgenza non è sanitaria o educativa, ma culturale: l’“io” degli adolescenti appare dormiente e ha bisogno di essere evocato da incontri veri, da relazioni autentiche che risveglino energie sopite. Non si tratta di modelli psicologici, ma di un bisogno profondo di senso, come ricordano Leopardi o Levinas.
Citato anche Julián Carrón, che richiamava Giussani e Testori: la ripresa passa dall’incontro con una presenza diversa, non solitaria, capace di fungere da catalizzatore. Gli adolescenti chiedono adulti disposti a rischiare una paternità nuova: presenze capaci di ascoltare, mettersi in gioco, reggere il dolore e proporre un giudizio senza biasimo.
