Il Ministero della Cultura avrà uno stand istituzionale al Meeting di Rimini, in cui sarà esposta una pala attribuita al Perugino, custodita presso la Galleria Nazionale dell’Umbria. Si tratta del dipinto San Giovanni Battista tra i santi Francesco d’Assisi, Girolamo, Sebastiano e Antonio da Padova, conosciuto come ‘Pala dei Cinque Santi’, datato ai primi anni Dieci del Cinquecento ed eseguito con largo concorso di bottega.

L’opera, esposta dal 22 al 27 agosto nello spazio ministeriale, non è tra i capolavori assoluti del maestro umbro, ma conserva rilievo storico e critico. Elvio Lunghi nel 2004 ne ha ipotizzato la provenienza dalla cappella di San Giovanni delle Scale nella chiesa di San Francesco al Prato di Perugia, commissionata dalla famiglia Signorelli. Le figure riprendono schemi diffusi nella bottega del Perugino e hanno conosciuto fortuna soprattutto nell’Ottocento.

Negli ultimi anni la pala ha avuto numerosi spostamenti: nel 2023 è stata esposta alla Pinacoteca Nazionale di Bologna, tra fine 2024 e inizio 2025 a Roma, al Palazzo della Minerva, per una mostra su san Francesco in occasione del Giubileo. Ora giunge al Meeting come nuovo prestito autorizzato dalla Direzione Generale Musei. L’allestimento avrà un costo di 10.230 euro.

Il Ministero spiega che la scelta è legata al tema del Meeting 2025 – ‘Nei luoghi deserti costruiremo con mattoni nuovi’ di T. S. Eliot – richiamato dalla figura di San Giovanni Battista, simbolo di soglia e rinascita, mentre la presenza di San Francesco si collega al percorso verso l’ottavo centenario della sua morte nel 2026. La pala, dunque, è proposta come simbolo di rinascita e dialogo, capace di incarnare il legame tra arte, bellezza e speranza.

L’esposizione è curata dal Dipartimento per le Attività Culturali (DiAC) del MiC, tramite il Servizio VI – Eventi, Mostre e Manifestazioni, in collaborazione con i Musei Nazionali di Perugia – Direzione regionale Musei nazionali Umbria.

A Roma oltre un milione di giovani ha partecipato al Giubileo, sfondando ogni previsione. In un contesto in cui chiese e oratori si erano svuotati, questo segna una novità significativa. In molti giovani c’è un desiderio profondo di felicità e di significato, che troppo spesso non incrocia l’esperienza cristiana. Ma proprio in tempi di crisi appare la nostalgia del senso: il bisogno che la vita non finisca con l’orizzonte visibile, e che qualcuno vinca la morte. L’esperienza dello scrittore Javier Cercas, ateo che ha seguito papa Francesco per chiedergli se sua madre vedrà suo padre nell’aldilà, esprime quella nostalgia di senso. Anche papa Leone XIV, nell’omelia a Tor Vergata, ha parlato al cuore di quell’“aspirazione a un di più che nessuna realtà creata può soddisfare”, affermando che «la nostra speranza è Gesù». In quei giorni i giovani hanno sperimentato che la sete interiore può trovare risposta nella concretezza evangelica: gesti, incontri, mani che si sfiorano, sguardi che si incrociano. Un Papa che si commuove alla presenza dei giovani e li saluta in diverse lingue ha reso visibile il miracolo dell’incontro con la fede attraverso la nostalgia del senso.

Nel cuore del Giubileo dei Giovani, Papa Leone XIV rivolge ai presenti un invito forte: «Lasciatevi amare da Cristo, e Lui vi sorprenderà». Commentando il Vangelo della Trasfigurazione, il Papa ricorda che «Gesù è la luce che trasfigura le nostre oscurità», e che solo fissando lo sguardo su di Lui si può scoprire la verità su sé stessi. Ai giovani dice: non abbiate paura di ciò che siete, ma lasciate che la luce di Cristo riveli la vostra bellezza. Parla di una fede che non è teoria, ma esperienza viva, concreta, quotidiana. Incoraggia tutti a non restare sul monte, ma a tornare nella pianura della vita per essere luce nel mondo. E conclude: «È bello stare con Gesù, ma è ancor più bello portarlo ai fratelli».
“…la pienezza della nostra esistenza non dipende da ciò che accumuliamo né, come abbiamo sentito nel Vangelo, da ciò che possediamo (cfr Lc 12,13-21). È legata piuttosto a ciò che con gioia sappiamo accogliere e condividere (cfr Mt 10,8-10; Gv 6,1-13). Comprare, ammassare, consumare, non basta. Abbiamo bisogno di alzare gli occhi, di guardare in alto, alle «cose di lassù» (Col 3,2), per renderci conto che tutto ha senso, tra le realtà del mondo, solo nella misura in cui serve a unirci a Dio e ai fratelli nella carità, facendo crescere in noi «sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità» (Col 3,12), di perdono (cfr ivi, v. 13), di pace (cfr Gv 14,27), come quelli di Cristo (cfr Fil 2,5). E in questo orizzonte comprenderemo sempre meglio cosa significhi che «la speranza […] non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (cfr Rm 5,5).”

Papa Leone XIV risponde alle domande dei giovani:
“come sapete, oggi ci sono algoritmi che ci dicono quello che dobbiamo vedere, quello che dobbiamo pensare, e quali dovrebbero essere i nostri amici. E allora le nostre relazioni diventano confuse, a volte ansiose. È che quando lo strumento domina sull’uomo, l’uomo diventa uno strumento: sì, strumento di mercato, merce a sua volta. Solo relazioni sincere e legami stabili fanno crescere storie di vita buona.

Carissimi, ogni persona desidera naturalmente questa vita buona, come i polmoni tendono all’aria, ma quanto è difficile trovarla! Quanto è difficile trovare un’amicizia autentica! Secoli fa, Sant’Agostino ha colto il profondo desiderio del nostro cuore – è il desiderio di ogni cuore umano – anche senza conoscere lo sviluppo tecnologico di oggi. Anche lui è passato attraverso una giovinezza burrascosa: non si è però accontentato, non ha messo a tacere il grido del suo cuore. Agostino cercava la verità, la verità che non illude, la bellezza che non passa. E come l’ha trovata? Come ha trovato un’amicizia sincera, un amore capace di dare speranza? Incontrando chi già lo stava cercando, incontrando Gesù Cristo. Come ha costruito il suo futuro? Seguendo Lui, suo amico da sempre. Ecco le sue parole: «Nessuna amicizia è fedele se non in Cristo. È in Lui solo che essa può essere felice ed eterna» (Contro le due lettere dei pelagiani, I, I, 1); e la vera amicizia è sempre in Gesù Cristo con fiducia, amore e rispetto. «Ama veramente il suo amico colui che nel suo amico ama Dio» (Discorso 336), ci dice Sant’Agostino”

Il 31 luglio nella chiesa di San Giuseppe al Trionfale, mons. Giacomo Morandi ha condotto una catechesi rivolta ai giovani, integrando riflessioni dell’astrofisico Marco Bersanelli con il significato biblico della nostra presenza nel Creato. Di fronte all’immensità dell’universo, Morandi ha affermato che ogni persona, con la propria coscienza, è il momento in cui l’universo diventa consapevole di sé. Ha sottolineato che la gioia nasce dalla consapevolezza di essere creati, amati e chiamati da Dio: “Siamo stati creati, pensati e amati. E non siamo soli. Questo è il fondamento della nostra speranza ed è il fondamento della nostra gioia”. Ha invitato i presenti a guardare all’ordinarietà—come il sole che splende o il fatto di svegliarsi al mattino—per alimentare meraviglia e gratitudine. Il cuore dell’incontro è stato il riconoscimento dell’amore di un Padre fedele che cerca ciascuno di noi, un amore che resta incondizionato anche quando pensiamo di esserne usciti. L’arcivescovo ha concluso con un incoraggiamento: “Non dubitate mai del vostro valore, il vostro stupore è dono che Dio ha posto in voi”.

Il cardinale teologo inglese John Henry Newman (1801-1890), passato dall’anglicanesimo al cattolicesimo nel 1846, sarà proclamato Dottore della Chiesa su decisione di Papa Leone XIV. La Santa Sede ha confermato il parere favorevole del Dicastero delle Cause dei Santi. Newman, creato cardinale da Leone XIII nel 1879, è noto per il suo motto “Cor ad cor loquitur” e il suo ruolo nella fondazione dell’Oratorio di San Filippo Neri a Birmingham. La sua canonizzazione è avvenuta nel 2019 sotto papa Francesco e ora si aggiunge a lui il titolo che lo rende il 38° Dottore della Chiesa, un riconoscimento riservato solo a figure di straordinaria dottrina cristiana. Tra tutti i dottori, solo quattro sono donne. La proclamazione sarà pubblica e dovrà completare il riconoscimento già atteso da tempo.

In una foto che ha fatto il giro del mondo, una madre avvolge con tenera cura la testa del suo bambino scheletrico, coperto solo da plastica nera. L’immagine rivela la fame atroce e l’orrore di Gaza. Davanti a questa realtà, la reazione emotiva – tristezza, rabbia, desiderio di giustizia – è immediata e travolgente. De Haro avverte che i consiglieri intellettuali ci sollecitano a non lasciarci coinvolgere dai sentimenti, a ‘razionalizzare’. Eppure, in un istante tutto cambia dentro di noi: la connessione tra il bambino e chi guarda diventa un grido interiore che chiede azione. Guardare non è introspezione, ma richiamo etico: il blocco va rotto, gli aiuti devono arrivare, la fame va fermata. Serve rispondere: cosa diciamo quando sappiamo tutto questo? Cosa fa questo in noi?

Il giornalista Aldo Cazzullo, autore dell’introduzione alla nuova edizione della “Rerum novarum”, ne sottolinea l’attualità profetica anche dopo oltre 130 anni. Afferma che il testo affronta la centralità della dignità del lavoro e delle disuguaglianze, denunciando derive sia della rivoluzione che dell’indifferenza. Nonostante la crisi della politica e la scristianizzazione del nostro tempo, “la Chiesa non deve mai sottovalutare la forza enorme che ancora possiede” . Cazzullo evidenzia come la Rerum Novarum anticipi le sfide dell’era digitale e dell’intelligenza artificiale, temi che Papa Leone XIV ha scelto di raccogliere nel suo pontificato assumendo quel nome proprio in riferimento a Leone XIII. La dottrina sociale resta alternativa necessaria nella società globale: criticando paradisi fiscali, disuguaglianze e concentrazione del potere, il giornalista richiama alla necessità di riformare l’etica sociale e valorizzare il senso del bene comune.

Nei giorni del cambio di pontificato da Francesco a Leone XIV, emerge un segno spirituale fondamentale: l’«inquietudine». Un’attitudine proposta insistentemente da papa Francesco e che Leone XIV ha abbracciato come apertura al futuro. Spadaro spiega che il volume da lui curato non è solo cronaca, ma un diario «di una Chiesa che non si accontenta, che non si chiude, che resta in ascolto della storia». L’inquietudine diventa così dimensione spirituale, condizione profetica che sostiene il discernimento, la sinodalità, la fraternità e l’attenzione alle sfide contemporanee come l’intelligenza artificiale. Non è semplice nostalgia: è tensione evangelica che anima i gesti, le parole e le riforme, in continuità spirituale tra i due Papi.

Massimo Borghesi descrive una violenza giunta al suo picco estremo: «Netanyahu e i ministri del suo governo hanno superato ogni limite», agendo con cinismo politico e visione messianica. Secondo Borghesi, per ogni ebreo ucciso sono morti circa 60 palestinesi, tra cui molti bambini, anziani e donne. La guerra ha consolidato il potere del premier israeliano attraverso il terrore, mentre l’opposizione interna chiedeva da tempo le sue dimissioni. I bombardamenti colpiscono non solo obiettivi militari ma anche scuole, ospedali, quartieri, Onu – trasformando la guerra in gestione e l’etica in calcolo. Papa Leone XIV e una mobilitazione diplomatica internazionale di 28 Stati chiedono la fine immediata del conflitto. L’articolo denuncia il «collasso della deterrenza etica» e definisce l’esodo forzato di milioni di palestinesi una tragedia inaccettabile. Israele, conclude Borghesi, dovrebbe saper custodire la propria memoria storica, non cancellarla, mentre il premier resta legato a una politica di guerra che lo rende per molti più una disgrazia che un difensore dell’Occidente.