FINE VITA/ “La grazia” e “L’ultimo turno”, così il pensiero dominante “decide” al posto nostro
Nel panorama cinematografico emergono due opere sul confine tra vita e morte. *L’ultimo turno* di Petra Volpe, premiato alla Berlinale 2025, racconta la giornata estenuante di un’infermiera, Floria Lind, che con gesti di cura quotidiana incarna la legge naturale iscritta nella coscienza, resistendo al collasso del sistema sanitario. *La grazia* di Paolo Sorrentino, presentato alla Mostra di Venezia, mette invece in scena un presidente della Repubblica che si confronta con una legge sull’eutanasia e con la richiesta di grazia di un uomo che ha ucciso la moglie malata senza consenso. Qui prevale la logica della legge positiva, piegata al dubbio personale e al potere politico.
Binetti contrappone i due approcci: Floria accompagna con ascolto chi soffre; il presidente De Santis decide con una firma chi può morire. Due solitudini che incarnano il conflitto tra legge naturale e legge positiva. Il nodo centrale non è solo nei film, ma nel modo in cui vengono narrati: *La grazia* ha ricevuto grande copertura mediatica, divenendo trend sui social e strumento nel dibattito politico sul fine vita. *L’ultimo turno*, invece, pur riconosciuto come grande film, è stato lasciato nel silenzio mediatico.
L’autrice denuncia il potere manipolativo della narrazione attorno a un film, capace di orientare opinioni e decisioni legislative. Se Sorrentino contribuisce a legittimare culturalmente una legge controversa, Volpe invita a riflettere sul valore del lavoro di cura e sulla dignità della coscienza. La domanda finale resta aperta: chi decide quali voci meritano attenzione e quali vengono oscurate? Forse, come Floria, il compito è restare accanto senza clamore, servire senza potere, decidere senza leggi.
