Israele vs Parolin: non è con il dolore dei massacri che si fa giustizia e si “salva” la storia
L’ambasciatore israeliano presso la Santa Sede ha duramente criticato il cardinale Pietro Parolin per la presunta ‘equivalenza morale’ tra l’attacco di Hamas del 7 ottobre e la risposta militare israeliana. Parolin, intervistato dai media vaticani, aveva ricordato il dramma quotidiano dei civili palestinesi, esprimendo dolore per una guerra che ha generato ‘conseguenze disumane’. Israele ha reagito accusando il Vaticano di non riconoscere la differenza tra la legittima difesa di uno Stato democratico e il terrorismo.
Federico Pichetto sottolinea che lo scontro rivela la distanza tra due linguaggi: quello del Vaticano, che considera ogni vita sacra e rifiuta gerarchie di valore nel dolore, e quello dello Stato ebraico, che affonda le proprie radici in una genealogia di sofferenze – dall’esilio babilonese alla Shoah – che Israele interpreta come fondamento della propria identità e del proprio diritto alla difesa. Questa ‘teologia del dolore’, scrive l’autore, rischia però di trasformarsi in giustificazione della violenza.
La lettura religiosa e politica della storia d’Israele appare, secondo Pichetto, come una continua fuga dal confronto con le proprie ferite, una rivendicazione che non tiene conto della sofferenza altrui. È proprio qui che, osserva, le parole di Parolin colpiscono nel segno: la pace non nasce dalla forza o dal risarcimento, ma dalla capacità di riconciliarsi con la propria storia e di riscoprire la presenza di un amore che non ha bisogno di ferire per affermarsi. L’invito del Vaticano è quindi un appello a trasformare il dolore in cura e a riscoprire la pace come dono, non come conquista.
